25 Rue du Temple

di Diego Grando

Tradotto da: Hanna Kraft Haddad

ISBN: 9788899958305

L’edizione è composta da due poesie, “25 Rue du Temple” e “Parola Paris“. Grando costruisce un registro poetico fatto di lunghe composizioni, passeggiate per le strade e incontro tra mondo interiore ed esteriore, dando vita a un’esperienza che è allo stesso tempo narrativa e poetica, puntuale e duratura, contemplativa e produttiva, personale e collettiva.

L’autore:

Diego Grando, nato a Porto Alegre nel 1981, è poeta, professore, dottore in Lettere, e autore di quattro antologie poetiche: Desencantado carrossel (2008), 25 Rua do Templo / Palavra Paris (2010), Sétima do singular (2012) e Spoilers (2017), che ha ricevuto il Prêmio Açorianos de Literatura 2018 per la Poesia.

 

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Un piccolo assaggio...

25 Rue du Temple

Cambio anno come chi cambia il lato della strada

in un vicolo medievale:

pochi passi fra palazzi decadenti

e senza nessun altro proposito da formulare.

Dalle narici la nebbia

appanna gli occhiali e condensa una nuvola

spessa nuvola di nostalgia ed etere

che le mani insensibili di lana sono incapaci a disperdere

e così mi insegna che esiste un altro emisfero

altre stagioni

forse un’altra era

per uno stesso giorno

una stessa ora

per lo stesso

e soprattutto lo stesso

disperare.

Mi fermo nella via deserta e scura

compagna involontaria di quest’ora

via deserta non troppo lontana

dai grandi boulevard stracolmi di spumante allegria

flash in diretta a tutto il mondo

e una manciata di portafogli rubati

via deserta nel cuore della città

che una volta chiamarono

forse senza pensare all’ironia

Ville lumière

e scopro che Einstein quasi ottant’anni prima della mia nascita

sapeva molto di più su di me

e su questo momento

che Freud e tutti i suoi discepoli

sulla condizione umana.

Perdo lo sguardo nel cielo di stelle false

e travolto da un’angoscia pirotecnica

sento che l’ora non è giunta

nonostante il respiro insistente di una fisarmonica

risuonando da una finestra illuminata

risuonando da un lungometraggio dell’inizio del nuovo secolo

che musicisti ambulanti scambiano per monete nelle stazioni della metro

risuonando da una taverna frequentata

solo da me e dalla mia vertigine

sento che l’ora

non è giunta

nonostante i secondi contati alla rovescia

come uno sforzo collettivo ed ebbro

per ricaricare a mano il calendario

questo gioco di Sisifo che inventammo

per prendere sul serio

ogni giorno

gregorianamente.

Avverto con precisione l’ora

che non è giunta

chissà ancora legato

all’anno che avvizzendo scorre

senza far rumore

nei tombini

come la prova definitiva

di un nazionalismo sconosciuto

chissà soltanto confuso

di sentirsi solo e sedersi alla destra

non di Dio Padre onnipotente

ma dell’antico osservatorio reale di Greenwich e dal suo nullo meridiano

vivendo questa notte diffusa

senza la tavola abbondante di mamma e lenticchie

senza padre e fratello a discutere di olive e bicchieri

senza mancanza di appetito e coraggio

senza la promessa di non fare più promesse

senza biancheria rossa

nemmeno sbiadita.