17 aprile

di Davi Boaventura

Tradotto da: Silvia Rita Iannone

ISBN: 9788899958299

Domenica di sole: giornata perfetta per un churrasco, qualche birra, risate, un flirt innocente. Il controverso 17 aprile 2016, giorno dell’impeachment di Dilma Rousseff, un giovane avvocato va a una festa e si ritrova davanti a uno spettacolo dell’orrore, dentro e fuori la televisione. Come se non bastasse, un messaggio del padre rende tutto ancora più straziante. Di fronte a una serie di disfatte, c’è una via d’uscita da quella sensazione di sconfitta che ti rimane addosso?

L’autore:

Davi Boaventura si è specializzato in scrittura creativa alla PUCRS (Pontifícia Universidade Católica do Rio Grande do Sul) ed è laureato in giornalismo alla UFBA (Universidade Federal da Bahia). Ha pubblicato Talvez não tenha criança no céu (2012) e Mônica vai jantar (2019), opera finalista ai premi São Paulo de Literatura, Ages e Minuano. Nato a Salvador nel 1986, si occupa di traduzione, fotografia e lettura critica.

 

Ulteriori informazioni su Dramas – N(u)ove voci dal Brasile

 

Un piccolo assaggio...

17 aprile

Era ovvio che la conversazione durante il churrasco sarebbe stata monotematica e che nessuno avrebbe parlato di altro se non del Tchau Querida o delle modalità di svolgimento della votazione o dei deputati che avrebbero potuto tradire i partiti o di cosa aspettarsi dai discorsi o di tutto il resto, infatti adesso se ne stanno lì, ansiosi, in attesa dell’inizio ufficiale della sessione, tutti molto indignati, molto nazionalisti, non poteva andare che così, ed è sorprendente quanto il discorso si stia facendo nauseabondo, eppure, lui rimane in silenzio per non trovarsi a discutere con gli amici, che probabilmente lascerebbero cadere le sue argomentazioni, ai quali, probabilmente, non interessa sapere che la sua posizione a favore dell’assoluzione si basa su un principio giuridico, e non politico –  perché, in fin dei conti, bisogna sempre rispettare lo stato di diritto democratico –,  è meglio tacere con chi ha le orecchie sepolte sotto dei mattoni, non vuole logorarsi, tanto il momento giusto per dialogare arriverà comunque, o forse sta solo provando a convincersi, ricordando le lezioni universitarie, la retorica legalista del suo professore di diritto costituzionale, nel tentativo di trovare delle argomentazioni razionali contro il caso, che poi non è neppure necessario appellarsi alla razionalità, lui stesso non vede troppa differenza tra quel processo e le grida di suo padre che diceva a sua madre di chiudere quella cazzo di bocca e di non immischiarsi in cose che non la riguardavano, pur non essendo mai stata di molte parole, ma è sempre la solita vecchia storia, e lui è lì, nel giardino di una casa del sud del Brasile, pentito di essere andato a quel churrasco, di aver accettato l’invito pensando di trovare delle persone più moderate, in un bagno di sudore per i quasi trentasei gradi in pieno aprile a Porto Alegre, sarebbe il momento giusto per darsela a gambe, ma non se ne va, si siede su una sedia sgangherata proprio quando i padroni di casa tornano dal soggiorno per depositare faticosamente un enorme televisore sul tavolo del giardino, sotto i palloncini e la bandiera del Brasile, in quella che sembra essere quasi una festa di compleanno, dato che improvvisamente c’è chi si mette a distribuire cappellini e vuvuzela, chi srotola una prolunga, chi fissa il filo con del nastro adesivo, chi infilza del pane all’aglio in uno spiedino e chi controlla il cellulare; lo fa anche la donna seduta in fondo finché, poco prima che inizi la trasmissione ufficiale, qualcuno porta un vassoio di bicchieri per la brincadeira, che consiste nel bere un sorso di cachaça ogni volta che un giornalista cita in sequenza il nome di Lula, Dilma e Dirceu, il che accade nemmeno trenta secondi dopo, perché è ovvio che accada, il primo voto non è nemmeno stato registrato ed ecco i conduttori del processo citare Lula, Dilma e Dirceu, senza alcuna cerimonia, Lula, Dilma e Dirceu, Lula, Dilma e Dirceu, Lula, Dilma e Dirceu, a raffica, Lula, Dilma e Dirceu, primo sorso, Lula, Dilma e Dirceu, secondo sorso, Lula, Dilma e Dirceu, terzo sorso, tutti già mezzi sbronzi, le urla vengono da sé, ed è quasi impossibile sentire l’audio del televisore, anche perché oltre alle urla degli invitati al churrasco, il rumore di spatole e cucchiai di legno nelle pentole proviene da quasi tutti gli edifici e finestre e case intorno e continua mentre le immagini si alternano tra la seduta plenaria e il consiglio direttivo della Camera, e subito dopo lui si chiede per quale motivo non abbia il coraggio di andarsene, dovrebbe andarsene, perlomeno non dovrebbe fingere di essere felice di mangiare quella merda di costoletta di maiale bruciata, non sarebbe nemmeno costretto a sentire il suo migliore amico delle superiori delirare su quanto Dilma sia senza dubbio insopportabile, nessuno sostiene più quella donna, nemmeno i giuristi, né i politici, i social, dovrebbe essere arrestata, ma lui non risponde, pensa ai social, a quanto abbia cercato di evitarli, al fatto che non apre Instagram da settimane per non deprimersi definitivamente, e adesso ha paura di diventare come suo padre, per il quale l’interattività di Internet è uno degli strumenti più macabri del mondo moderno, il che effettivamente potrebbe essere vero, e questa votazione ne è solo un altro esempio, e sarà difficile invertire questa tendenza nei prossimi anni, è d’accordo con il padre, anche se non lo ammetterebbe mai, i due non vanno d’accordo, non sono mai andati d’accordo, e lui dovrebbe andarsene, ma non se ne va, rimane nello stesso posto, e poi inizia lo show, con il sole ancora terribilmente caldo e qualcuno che gli offre salsiccia e controfiletto.