A seguito della pubblicazione de “Le voci di sotto“, pubblichiamo un’intervista esclusiva all’autore Pablo Melicchio, a cura della traduttrice, Livia Natalucci.

Ciò che mi ha colpito quando ho scelto il suo testo, Las voces de abajo, per la mia tesi di laurea è stato sicuramente il punto di vista da cui viene raccontata la storia, quello di Chiche. Ho infatti pensato che fosse inclusivo e interessante inserire personaggi che purtroppo molte persone ancora giudicano come disabili, scegliendo questo termine appositamente per evidenziarne i limiti e le differenze. Da dove è nato il desiderio di parlare di un periodo così buio della storia argentina attraverso gli occhi del personaggio di Chiche?

Mi hanno colpito molto le descrizioni della vita all’interno della scuola, che ho trovato molto realistiche e di forte impatto. Sono esperienze che ha vissuto in prima persona grazie alla sua professione di psicologo? Quando ha scritto queste descrizioni, aveva in mente un centro realmente esistito per persone diversamente abili che non viene menzionato o è il risultato di esperienze personali e/o di ricerche?

Sono sempre stato interessato alla storia e alle storie in generale. Ho lavorato come psicologo con giovani detenuti e da lì ho scritto il mio romanzo Letra en la sombra (pubblicato in Argentina da Mondadori). Poi ho iniziato a lavorare come psicologo con persone con disabilità. Successivamente ho scoperto che quella struttura (che in passato si è rivelata essere la casa di campagna del poeta Rubén Darío) era stata utilizzata come campo di sequestro e tortura durante la dittatura. Con il passaggio alla democrazia, dopo il 1983, è diventata una casa di cura e infine un centro per disabili. Un pomeriggio, mentre già lavoravo lì, vedendo nella parte della fattoria un ragazzo autistico, che guardava concentrato il terreno, mi sono chiesto: e se si fosse connesso a una persona scomparsa sepolta lì sotto? Un’idea, una domanda che si è rivelata il punto nodale per articolare la voce di un essere diversamente abile, una voce che di solito non viene registrata, con le voci dei desaparecidos, voci che sono state anch’esse messe a tacere. Coloro che vivevano vicino all’istituto, in quei tempi di dittatura, sentivano urla, vedevano auto che andavano e venivano a tutta velocità, elicotteri…. Non sarebbe strano se i desaparecidos fossero o siano ancora sepolti lì. In breve, ho esplorato a fondo quella struttura, ho incontrato ogni studente/paziente e ho approfondito la storia del luogo e dell’Argentina… poi mi sono soffermato sull’immagine di quel ragazzo, che sarebbe poi diventato Chiche, tutto ha contribuito ad articolare nella mia mente il cuore di quel possibile romanzo.

La storia di Dolores ha una forza emotiva incredibile, e anche l’etimologia del nome si intreccia perfettamente con l’immagine e la storia del personaggio. C’è un motivo dietro la scelta dei nomi degli altri desaparecidos?

Dolores mi emoziona molto, mi ha commosso mentre scrivevo, e molti lettori mi parlano di lei… Le altre voci portano i nomi che mi sono venuti in mente mentre le “ascoltavo”, mentre le facevo vivere. Nomi molto tipici degli anni ’70.

I capitoli di Roberto sono molto intensi e rendono perfettamente l’idea di una persona perseguitata dai fantasmi del passato che, tuttavia, intraprende un viaggio per salvare il figlio da ciò che lui stesso ha causato, e Chiche dimostra una grande maturità nei capitoli finali riuscendo a perdonarlo e a parlargli dopo tutto quello che ha fatto. Questo personaggio si è evoluto durante la stesura del libro o partiva già con un’idea chiara di come il personaggio di Roberto si sarebbe sviluppato nel corso della storia?

I capitoli di Roberto erano molto più lunghi, li ho allungati e accorciati, riscritti e resi come sono adesso… mi era chiaro che era un uomo geloso, sessista e violento, che faceva ammalare Chiche, gli metteva gli “insetti” in testa e tormentava Alicia fino a commettere un femminicidio. Lo ritenevo libero ma, come tu giustamente sottolinei, tormentato dai fantasmi del passato. E la sua libertà avrebbe avuto valore solo se avesse compiuto un ultimo atto, liberando Chiche dalle cimici che lui stesso gli aveva impiantato…

Perché Chiche, solo Chiche, aveva questa capacità di sentire le voci degli scomparsi? Mi chiesi. Fu allora che pensai che un grande dolore potesse risvegliare una grande capacità, il potere di apprendere. Sarebbe stata la madre morta e sepolta a dargli quel DONO.

Molte idee si risvegliavano mentre scrivevo, senza pregiudizi, pensando a come avrebbero creduto a un ragazzo del genere… lo avrebbero preso per pazzo, gli avrebbero aumentato le medicine… Come Chiche, anch’io ero preso da voci interne, e giocavo con quelle voci e quelle idee volatili. La figura dell’insegnante, che profuma di buono, secondo Chiche, e che si impegna per la vita e per la storia, sarebbe stata l’antenna, il canale, il ponte per far emergere la verità che Chiche incarnava.

Durante la lettura mi sono chiesta più volte se Chiche fosse un personaggio di fantasia o una persona reale, o se rappresentasse tutti quei ragazzi e quelle ragazze che vengono ingiustamente considerati “inferiori” solo per la loro condizione mentale. Quando arriviamo ai ringraziamenti, la domanda sorge spontanea: Chiche è un personaggio reale?

Chiche è reale e immaginario, è lui ed è un rappresentante di tante persone che soffrono. È un ragazzo semplice e un eroe. È la voce di coloro che di solito non hanno voce, di coloro che non sono registrati, resi invisibili e quindi non ascoltati.

Mi è piaciuta molto la scelta di far sì che Chiche non capisca tutte le parole che sente, ma allo stesso tempo riesca a percepire le voci dei desaparecidos. Ci può raccontare un po’ come ha scelto il lessico per il personaggio di Chiche, e da dove è nata l’idea di farlo parlare di sé in terza persona?

Chiche era un ragazzo realmente esistito che frequentavo alla Fondazione Villa Angela (così si chiamava la “scuola”). Mi sono ispirato alla sua fisicità, ad alcune sue idee, come la sua ossessione per la pizza e per il cibo in genere… Ho preso un po’ in prestito la voce di Yoda, il personaggio di Star Wars, e ho aggiunto l’idea della difficoltà, dell’impossibilità di capire le parole come conseguenza degli insetti che Chiche sentiva mangiare i suoi pensieri. E, naturalmente, quanto sia limitante sentirsi dire che un ragazzo “non capisce” perché ha “una disabilità, anche se lieve”, come ha registrato e ripetuto Chiche. Le parole fanno male e guariscono, lo vedo ogni giorno nei consultori, nella mia vita, nei media, ed è per questo che l’ho inserito nel romanzo.

Chiche crede di avere degli insetti nella testa che divorano i suoi pensieri. C’è un motivo particolare per cui non viene specificato che tipo di insetti sente di avere?

Gli insetti, come la disabilità di Chiche, non hanno una tipologia precisa, proprio per non condizionare la lettura, per stimolare l’immaginazione. Chiche è disabile? Ha dei veri insetti o fa parte della sua immaginazione? Il romanzo si svela lentamente. È la parola del padre, “l’insetto invalidante”.

Come immagina Ernesto, Dolores, Juan e Fernando ora, dopo la loro liberazione? Cosa fanno? E, dopo qualche anno, Chiche e Rosita?

I desaparecidos liberati da quella condizione, grazie a Chiche, hanno smesso di essere tali per essere morti e avere un posto nel cimitero e nella storia. Chiudendo un ciclo che non si è chiuso e aprendo una nuova dimensione, quella del lutto. Il passaggio da scomparso a morto rappresenta una forma di cura per le famiglie… E Chiche e Rosita forse sono nel bel mezzo di una relazione, in una vita amorosa piena di possibilità.

La mia ultima domanda, dopo aver letto le sue risposte, riguarda il narratore che appare parlando al lettore e facendolo riflettere sulle condizioni e sulla vita degli studenti all’interno della scuola: è come se fosse lei a parlare al lettore da un punto di vista esterno, come se esprimesse ciò che ha sentito e percepito lavorando lì?

Grazie per le tue parole e per queste domande che mi ricollegano al romanzo, a quel momento magico e misterioso della sua scrittura. Il narratore onnisciente è lì, è esterno, ma è in mezzo a loro, conosce i personaggi, è me in quel momento, quello psicologo, ed è l’essere scrivente che vola sullo spazio reale e immaginario; parla ai lettori, e parla a se stesso….

È un romanzo psico-emotivo, storico, parla dell’io, ma vuole anche essere dirompente, scomodo perché permette ai disabili, ai morti e ai desaparecidos di esprimersi.

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