Roberto Rossellini, immagine da Berlino anno zero (1947)

“Nella Germania nazista di Hitler, Albert Speer, architetto di regime, immagina edifici costruiti nei materiali della tradizione come granito e mattoni, che. anche una volta divenuti rovine. mostrassero ai posteri la magnificenza ed il potere del Terzo Reich. come nei suoi schizzi del colonnato ili marmo dello Zeppelinfeld rappresentato in torma di rudere coperto di edera (sorta di ruine anticipée, alla maniera di Hubert Robert, le cui pitture si dice che ornassero il Gabinetto del Reichstag). Cosi, sulla base della visione naturalista di Gottfried Semper, Speer concepisce la “Theorie vom Ruinenwert”, la delirante teoria sul valore delle rovine che condusse alla costruzione di alcuni dei campi di concentramento nazisti accanto a cave di granito, come Mathausen, o in zone ricche d’argilla per fornire materiali da costruzione ‘eterni’.

Ma il potere semantico delle rovine consiste proprio nella dimensione temporale che nessun regime, neppure il più autorevole, è in grado di cancellare; come scrive Marc Augé: “Anche se gli archeologi o i politici che vogliono fare un uso pubblico della storia ne sono inconsapevoli, il risultato c sempre un paesaggio, cioè la riunione di temporalità diverse.”

Tessa Matteini, Paesaggi del tempo: documenti archeologici e rovine artificiali nel disegno di giardini e paesaggi, Alinea Editrice, 2009


«I lavori sullo Zeppelinfeld ebbero immediato inizio, affinché perlomeno la tribuna potesse essere pronta per il raduno del partito. Si dovette sacrificare il deposito tranviario di Norimberga, e un giorno, quando già si era provveduto a farlo saltare, mi accadde di passarvi davanti e di osservare il miserando spettacolo del cemento armato in rovina, con le nervature di ferro penzolanti e già corrose dalla ruggine. Non era difficile immaginare quanto sarebbe stato rapido l’ulteriore decadimento. Questa visione desolante stimolò in me un’idea che esposi più tardi a Hitler sotto il nome alquanto  pretenzioso di Theorie vom Ruinenwert, cioè del valore che un edificio può avere visto come rovina. La mia premessa era che le costruzioni moderne sono indubbiamente poco adatte a creare quel “ponte di tradizione” che, secondo Hitler, avrebbe dovuto congiungere la nostra generazione alle generazioni future: era impensabile che da cumuli di rovine polverose potessero sprigionarsi quelle ispirazioni eroiche che riempivano Hitler di ammirazione davanti ai monumenti del passato. La mia teoria si  proponeva proprio di superare questo punto morto. Impiegando determinati materiali e rispettando certe esigenze statiche, si doveva poter costruire edifici capaci di eguagliare, in pieno sfacelo, dopo centinaia (anzi, secondo il nostro metro, migliaia) di anni, i monumenti romani. Per rendere più evidente il mio pensiero, feci eseguire un disegno che raffigurava romanticamente la tribuna dello Zeppelinfeld dopo secoli di abbandono: coperta di edera, infrante le colonne, crollate in vari punti le mura, ma ancora intatta e pienamente riconoscibile nelle sue grandi linee. Disegno, questo, che nell’entourage di Hitler fu considerato “una bestemmia”, non potendosi concepire che qualcuno prevedesse un periodo di decadenza del nostro impero appena fondato. Hitler, al contrario, trovò che le mie riflessioni erano logiche e illuminanti, e stabilì che nell’avvenire le maggiori costruzioni del suo Reich fossero erette secondo la mia “legge delle rovine”».

Albert Speer, Memorie del Terzo Reich

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