di Mercedes Estramil

Il mio sudore puzzava di vergogna e paura. Per la prima volta mi assegnavano un premio e qualcuno contestava quella decisione. Uscì dal fiotto di gente, si piantò davanti al presidente della giuria e giurò che l’opera non era stata scritta da un morto. Caos. Non ebbi nemmeno il tempo di accarezzare l’assegno, né di sentire il freddo della medaglia d’oro. Qingming si alzò pacatamente, guardò dal palco quella che era stata mia amica fin dall’infanzia, che ne sostenne lo sguardo con determinazione, poi guardò me, che abbassai gli occhi intimorita, e tossì. Scese un silenzio sepolcrale.

Gli amici esistono per incasinarci la vita: fu un pensiero frugale e vasto. Terminò così la seconda parte della mia esistenza. Passai dal poter quasi toccare il cielo a una caduta umiliante in un pozzo di merda. Che era come tornare alla prima parte, con l’ingrata eccezione di aver intravisto il cielo, che non è poco. Se devi diventare cieco, che sia dalla nascita. Chiedo scusa ai ciechi, ma li tratterò come tutti gli altri, ho esaurito la mia scorta di riguardo.

Tutto era iniziato anni prima, dopo la scomparsa dei miei genitori. Avevo creato insieme alla mia migliore amica un’impresa di pulizie specializzata in tombe. A differenza della credenza generalizzata secondo cui quello del caro estinto è un settore in estinzione, Wanda diceva che c’erano molti modi per rivitalizzarlo e renderlo redditizio, e non si sbagliava. Era vero che non si facevano più veglie funebri come un tempo, che la gente evitava di trascorrere le lunghe ore notturne accanto al morto, che la bara aperta veniva rimpiazzata da una chiusa con foto annessa. Era indiscutibile che il due di novembre passava ormai inosservato, che i fiorai chiudevano e che le messe funebri andavano calando, che la gente pagava in comode rate bare, corone e sepolture sempre più economiche. Ma la domanda della mia amica era, di chi era la colpa? Quella cosa che spuntava quando il direttore di un giornale parlava di vandalismo nei cimiteri, di furti di dentiere, di gatti troppo grassi e di becchini fuori di testa. Nello spazio della colpa c’è sempre posto per un affare. Offrivamo un’ampia gamma di servizi, che includevano la visita settimanale alle tombe, il cambio dei fiori, la lucidatura delle lapidi, il posizionamento di ciò che chiedeva il cliente (ricordi, crocifissi, fotografie, libri), preghiere e letture, tutto questo senza che dovesse disturbarsi lui a farlo. Tutte le informazioni associate venivano inviate via cellulare o posta elettronica. Era come sentire un “mamma sta bene” e proseguire con la propria vita.

Il primo mese avevamo raggranellato una decina di clienti, tutti presso il Cementerio del Buceo. Non si trattava di un’attività legalizzata, pertanto se qualcuno ci chiedeva qualcosa rispondevamo che tutti i defunti erano nostri parenti. Avevamo scritto i loro nomi su un taccuino. Vedendo le iscrizioni sulle lapidi potevamo farci un’idea di quanto amore gli riservassero coloro che le avevano messe lì. Alla fine, soltanto il fatto che ci pagassero era una prova sufficiente del fatto che erano ancora nei loro pensieri. In genere andavamo di mattina, quando era improbabile imbattersi nei ladri. A me piaceva l’atmosfera silenziosa che si respirava, a Wanda no. I suoi attacchi di panico iniziarono con delle piccole nausee, irritazioni davanti a un filo d’erba che si muoveva, tic quando qualche gatto le si avvicinava, allergia ai fiori e altri sintomi che finirono per convincermi che avrei dovuto continuare da sola.

A me quel lavoro piaceva e i miei fantasmi mi lasciavano in pace. Wanda si dedicava alla parte amministrativa e alla logistica, mi accompagnava fino all’ingresso dei cimiteri in base al programma del giorno e se ne andava a fare altro, lasciandomi a pulire le case di chi non c’era più.


Traduzione di Giacomo Falconi. Trovi il resto del racconto su Traviesa #6 Caso

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