Cos'è questo, tesoro?

di Natalia Borges Polesso

Tradotto da: Linda Lombardi

ISBN: 9788899958251

Una bambina è affascinata da una parte del suo corpo. Repressa dalla madre, cresce cercando di imparare a gestire la sua intimità.

L’autrice:

Natália Borges Polesso, brasiliana, rappresenta una delle voci più fresche e interessanti della letteratura contemporanea in ambito lusofono. Ha conseguito un dottorato in Studi Letterari all’Università di Rio Grande do Sul (Porto Alegre). È autrice del libro Recortes para álbum de fotografia sem gente (2018), vincitore del premio letterario Açorianos de Literatura nella categoria Racconti. Il suo secondo libro, Coração à corda (2015) contiene una selezione di poesie e racconti brevi in prosa poetica. L’antologia di racconti Amora (2015), che esplora le dinamiche delle relazioni omossessuali fra donne, è vincitore di importanti premi, fra cui un altro premio letterario Açorianos de Literatura nel 2016 e il rinomato Prémio Jabuti, dove ha trionfato nella sezione Racconti e Cronache, oltre a meritare l’ambitissimo Premio Popolare. Il suo ultimo romanzo è A extinção das abelhas (2021).

Nel 2017 è stata selezionata per la lista Bogotá39, un elenco dei migliori scrittori latinoamericani sotto i 39 anni. Le sue opere sono state tradotte in inglese e in spagnolo e pubblicate in vari paesi.

Ulteriori informazioni su Dramas – N(u)ove voci dal Brasile

 

Un piccolo assaggio...

Cos’è questo, tesoro?

Mamma, il mio culo ha fame.

Assalita dal terrore, la madre inciampò e perse l’equilibrio, trascinando con sé la bambina. Tentò invano di appoggiarsi al marciapiede. Intanto stringeva forte la mano della figlia cercando di proteggerla dalla caduta. E poi la faccia dritta contro il pavimento. Il gomito non aveva tenuto la presa. Il labbro superiore, incastrato tra i denti e la pietra del lastricato, sanguinava copiosamente. La madre si rialzò da terra senza fretta e il mondo le sembrò acquistare un senso. Terrificante. Spalancò gli occhi, poi li serrò e li riaprì. Si sedette appoggiandosi su un fianco, la coscia dolorante.

Cos’hai detto, tesoro?

Mamma, il mio culo ha fame. Mi sta mangiando tutte le mutandine, guarda!

Sul marciapiede, la bambina cercava di togliersi le mutande dal sedere con i ditini. L’altra mano era ancora stretta in quella della madre, graffiata.

La donna le mise le dita in bocca notando che, oltre a un pezzetto di dente mancante, c’era del sangue. Mezza intontita, esaminò con lo sguardo la bambina in cerca di eventuali danni provocati dalla caduta. Niente. O quasi. Solo i capelli un po’ scompigliati.

Non puoi dire queste cose. Non dirle più. Mai più. Non si può. E se ti sentono? Mi hai capita? Non voglio sentirti mai più dire una cosa del genere.

Cos’ho detto, mamma?

La madre si preparò a rispondere appoggiando le mani sulle spalle minute della figlia. I capelli arruffati per via della caduta, la faccia stropicciata, la camicetta un po’ strappata.

Quello che hai detto prima sulle mutandine! Una cosa del genere non voglio sentirla più. Come ti è venuto in mente? Non si dice.

E perché?

Perché? Perché è una cosa orribile! E quella parola. Quell’altra, dove l’hai sentita?

La bambina si girò e provò di nuovo a togliersi le mutandine dal sedere. D’un tratto fu interrotta da uno schiaffo della madre. La sensazione di sollievo fu presto sostituita dalla vergogna.

Dove l’hai sentita quella parola?

La bambina, sull’orlo del pianto, fece per rimettersi la mano nel sedere. Tensione.

Smettila! Ed ecco il secondo schiaffo. È una cosa brutta. Da far venire la nausea. Non si mette la mano lì!

 

La madre tappò la bocca della bambina con la mano, sanguinante.

Non si dicono quelle cose. Quelle parolacce.

Si accorse del braccio graffiato.

La madre si guardò intorno. Si avvicinò alla bambina e, sputando sangue, le disse a bassa voce: culo. Dopodiché si tappò la bocca. Poi, non riuscendo a decidersi, tappò le orecchie della bambina. Quindi la bocca, poi di nuovo le orecchie. Strinse quel corpicino tra le braccia. Entrambe erano ormai sporche di sangue.