Un racconto di compleanno

di Renata Wolff

Tradotto da: Greta Cavaliere

ISBN: 9788899958244

La sera del suo compleanno, Beatriz sfida i confini invisibili del tempo, dell’isolamento e della politica in un viaggio insonne attraverso la città del suo passato, del suo presente e di un futuro sempre meno prevedibile.

L’autrice: Renata Wolff è nata nel 1980 a Porto Alegre, in Brasile. Ha studiato all’Università Federale del Rio Grande do Sul e lavora in tribunale, nella sezione del giudice del lavoro. Ha partecipato alle raccolte di racconti 103 que contam (2006) e Outras mulheres (2010), entrambe a cura dello scrittore Charles Kiefer. Con il libro d’esordio Fim de festa è stata finalista al Premio Jabuti 2016 nella categoria per il miglior libro di racconti. Nel 2021 ha pubblicato la prima raccolta di poesie, Manhattan Lado B.

Ulteriori informazioni su Dramas – N(u)ove voci dal Brasile

 

Un piccolo assaggio...

Un racconto di compleanno

Beatriz chiese all’autista di fermarsi e uscì dalla macchina. Telefonò ai genitori per farli affacciare alla finestra, fece qualche passo indietro sul marciapiede, sollevò lo sguardo verso il salotto e li vide. Saltellò, agitando le braccia. Le mostrarono attraverso i vetri della veranda una torta con le candeline e le cantarono “Tanti auguri” al telefono. Sotto la mascherina sorrideva, non tanto per i festeggiamenti, quanto perché si erano finalmente sistemati nel nuovo palazzo, ben illuminato, con la portineria e il giardino. Mandò loro tanti baci da lontano e continuò la conversazione – eludendo le domande scomode – poi li salutò. Tornò sul sedile posteriore e sbatté la portiera, mentre l’autista si chinava per dare un’occhiata all’edificio dal finestrino. La guardò dallo specchietto retrovisore senza dire nulla, e non ce n’era bisogno: mostrava la stessa incredulità di chi non comprende la presenza di neri in certi posti.

Le chiese un indirizzo. Beatriz rimase in silenzio, scorrendo le notifiche sul cellulare (una serie di messaggi, una relazione, un articolo di economia), mentre ascoltava la voce tediosa alla radio. Man mano che l’auto si avvicinava al centro, i palazzi diventavano sempre più vecchi, i muri più sporchi e le strade più strette. Si stupì per la quantità di curve in quel breve tragitto, per un tratto percorso contromano. Nell’immettersi in un vicolo, la sterzata a più di novanta gradi la fece cadere su un fianco. Rialzandosi, si lamentò con l’autista. La macchina si fermò all’angolo della strada. Beatriz avvicinò il viso al finestrino e fissò la facciata del bar. Trovò strano che ci fossero le luci accese e la musica: se non erano autorizzati, non sembravano far nulla per nasconderlo. Guardò lo specchietto retrovisore, stava per commentare la situazione, ma si bloccò quando vide che l’autista la stava osservando, rigirandosi uno stuzzicadenti tra i peli della barba e i baffi brizzolati, per giunta senza mascherina.

– Ma ci conosciamo?

– No – gli rispose.

L’uomo accennò un sorriso mentre spostava lo stecchino da un angolo all’altro della bocca. Lei scese. L’autista abbassò il finestrino e appoggiò il gomito fuori. Mentre si disinfettava le mani, Beatriz si concentrò sull’insegna con la scritta colorata “Marley”.

– Buona serata, signora Beatriz.

– Come?