di Carolina Sanín

 

Si racconta che un leone si innamorò della principessa di un regno. Chiese al re la mano della figlia, che rispose: “Come hai potuto pensare che avrei permesso che mia figlia sposasse un leone?” Ciononostante, il pretendente non si diede per vinto. Imparò a camminare eretto e a inchinarsi per salutare. Ordinò un vestito da cortigiano. Si fece strappare le zanne, rasare la criniera, togliere gli artigli. Passato un anno, si ripresentò davanti al re: “Sono qui per chiedere di nuovo la mano di vostra figlia”. Il re rise e rispose: “Come puoi pensare che ti lascerò sposarla? Prima eri un leone, ora non sei nulla”.

Leggo questa favola da tanto tempo e non so cosa mi insegna. So di cosa tratta, ma non saprei dire dove lo indica. Mi dico che trasmette, come ogni favola, il bisogno di accettare la propria natura, che enuncia, come ogni favola, l’identificazione tra natura e legge, che, allo stesso tempo, come ogni favola, suggerisce che le identità non esistono.

La favola dice che nessuno può diventare un altro. Il leone non poteva aspettarsi di sposare una principessa, perché era un leone. Ma ci sono alcuni problemi:

Se il leone si era innamorato della principessa, allora era nella sua natura amarla. Amare la principessa voleva dire anche obbedire alla natura. Non lo era invece sposarla.

Forse non si viola la legge con il desiderio, ma con la sua consumazione?

Forse non si infrange la legge con il desiderio, ma con la speranza?

Se il leone ha imparato a camminare su due zampe e a salutare con un inchino, e se si è abituato a vivere senza artigli, zanne e criniera, allora le sue trasformazioni – anche se forse non furono trasformazioni, bensì parti di un travestimento – dovevano provenire anche dalla sua natura di leone. Eppure, quando il leone si presenta sotto mentite spoglie, il re gli dice: “Ora non sei nulla”. Come può il leone essere nulla, se è lì davanti al re, visibile, chiedendo qualcosa, parlando e desiderando, seguendo il suo desiderio, sviluppandosi?

Il paradosso delle favole è che sembrano insegnare l’accettazione e l’inesorabilità della natura, eppure dipendono dalla nostra accettazione di un fenomeno che va oltre la natura, cioè che gli animali parlino e noi capiamo quello che dicono.

Se nella natura degli animali c’è il parlare la lingua degli uomini, allora nella natura di tutti c’è spazio per tutto, per qualsiasi cosa, per la meraviglia: la trasformazione.

È possibile che, nonostante quello che sembra pensare il padre della principessa, la favola ci dica che il leone non abbia sbagliato a tagliarsi la criniera e gli artigli. Forse per presentarsi davanti al re e chiedere, bisogna spogliarsi dei segni distintivi della propria natura e, senza venire a patti con una natura aliena, saper sperimentare un corpo alieno.

Anche se il leone non riuscì ad ottenere la mano della principessa, trionfò presentando la sua richiesta davanti al re una seconda volta, essendo ormai nulla, convertito in desiderio senza identità, convertito nella sua natura e in quella di tutti, che è non essere nulla.

Il consiglio dato nella favola è che si dovrebbe chiedere una seconda volta: non per ricevere, ma per riconoscere se stessi spogliati, avendo sperimentato se stessi come un altro senza diventare nessuno: essendosi messi a disposizione.

Nella reiterazione della richiesta c’è la dignità del leone: la conoscenza della natura, l’obbedienza alla natura e la trascendenza della natura.

E chi è il re che nega?

E chi è la principessa negata?

E cos’è la natura?

La natura è la criniera, gli artigli e le zanne?

La natura è la ferocia?

O il segno della natura è la ferocia, ma la natura va al di là della ferocia?

Alterare la mia natura è smettere di essere feroce per accedere ad un’altra ferocia, astratta, forse più vera?

Cosa intendo dire con “più vera”?

Alterare la mia natura significa perdere i segni distintivi della mia specie per accedere all’animalità degli animali reali, ovvero degli animali non reali, favolosi, degli animali che parlano?

Come quello a cui chiese la mano della figlia, il leone era un re. Dopo aver ricevuto il rifiuto del suo interlocutore, è rimasto un re. Dimenticò l’addestramento a cui si era sottoposto, o continuò ad allenarsi e a tagliarsi capelli e unghie, cessando di assomigliare al leone che era stato, e assomigliando, nelle sue abitudini, sempre più al re da cui dipendeva il soddisfacimento del suo desiderio?

 

Traduzione di Giacomo Falconi. Trovi il resto del racconto su Unghie e denti

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